Donne immigrate e carcere

Di Angela Scalzo

Ringrazio l’Istituto F. Santi dove per oltre 15 anni ho svolto il ruolo di ricercatrice sociale e con il quale non ho mai smesso di collaborare.

Dando solo uno sguardo alle problematiche ed ai processi emergenti nella composizione della popolazione carceraria, notiamo che la popolazione detenuta femminile è composta per un terzo da donne immigrate che spesso conoscono poco la nostra lingua e non hanno all’esterno del carcere alcuna rete familiare e sociale di riferimento. Accanto a loro vi una altrettanto alta percentuale, sempre in crescita, di donne zingare, generalmente slave ma non solo, con varie esperienze di detenzione alle spalle e storie familiari a volte drammatiche.
Altissima è la percentuale di donne straniere madri con bambini che passano una parte della loro infanzia in carcere con loro: una possibilità, quest’ultima, consentita dall’articolo 11 della legge 354/75 di riforma penitenziaria. Le madri straniere si avvalgono di questa possibiltità soltanto in assenza di sostegno familiare esterno al carcere, di un sostegno sociale o una qualsiasi soluzione alternativa all’Istituto.
Analizzando i dati a disposizione, sembra che il numero dei minori in carcere con la madre straniera sia diminuito negli anni, ma bisogna sottolineare il fatto che i dati non tengono conto degli avvicendamenti nell’arco dell’anno, imputabili alle detenzioni più brevi.
Per quanto riguarda la salute in riferimento alla detenzione, se l’applicazione della legge è carente per i detenuti italiani, le immigrate sono ulteriormente penalizzate, soprattutto a causa della carenza linguistica con gravi conseguenze per la loro privacy.
Questo il quadro che emerge dall’osservazione nel corso degli anni dei volontari che SOS Razzismo impegna all’interno di alcuni Istituti Penitenziari e nelle strutture istituzionali collegate, dove mediatori culturali di provenienza extraeuropea svolgono non solo una mediazione linguistica ma anche e soprattutto culturale facilitando l’organizzazione penitenziaria ed il rapporto con l’Istituzione.
È indispensabile tenere presente le condizioni delle donne straniere detenute, in quanto gli interventi necessari alla promozione delle pari opportunità fra detenute richiedono un coinvolgimento responsabile dei soggetti istituzionali e sociali, i quali concorrono ed intervengono nelle scelte politiche ed operative che riguardano:
• la legislazione;
• l’organizzazione penitenziaria;
• la rete dei servizi sociali.

L’impegno legislativo dovrebbe prevedere:
1. che il decorso della pena continui anche quando la donna straniera è fuori dal carcere per maternità ;
2. che nessuna decisione definitiva deve essere presa dal Tribunale dei Minori in merito all’adottabilità dei bambini finché la madre è in carcere;
3. che venga tutelato il diritto alla salute per le donne straniere detenute, nel rispetto delle singole identità culturali.

L’organizzazione penitenziaria dovrebbe promuovere un reale cambiamento culturale che investa i comportamenti, la struttura e l’organizzazione stessa.
Anche con la legislazione vigente è possibile fare molto per le detenute straniere, lo dimostrano alcuni progetti pilota, che abbiamo supportato, nei quali sono state determinanti la professionalità e la motivazione personale di psicologi, educatori ed assistenti sociali che lavorano nel carcere e nei centri di servizio sociale dell’Amministrazione penitenziaria, oltre alla sensibilità delle Direzioni carcerarie, dei giudici di sorveglianza e della polizia penitenziaria, quest’ultima quale interfaccia quotidiana fra detenute e sistema.

Nel territorio è indispensabile coinvolgere gli enti locali ed il privato sociale per:
1. sensibilizzare i cittadini sulle problematiche legate alla detenzione e al reinserimento delle detenute;
2. favorire pene alternative al carcere, inserendo la problematica nei piani di zona;
3. nel caso di madri straniere, agevolare l’accesso alle risorse del territorio per i bambini costretti alla vita in carcere;
4. favorire la promozione della formazione congiunta degli operatori territoriali appartenenti alle ASL, ai Servizi Sociali Comunali, all’Associazionismo di Volontariato;
5. sostenere e coordinare l’attività delle associazioni di volontariato sia all’interno che all’esterno degli Istituti Penitenziari;
6. promuovere programmi specifici di reinserimento socio-lavorativo delle donne e delle madri straniere detenute.
Diversa è la situazione delle straniere e delle nomadi, rispetto alle detenute italiane.
In merito a questa problematica l’Agenzia Chances del Comune di Roma orienta e promuove all’impiego anche immigrati ed immigrate i quali, dopo aver scontato la pena, hanno la possibilità di essere inseriti nel mondo del lavoro. Un’iniziativa qualitativa effettuata grazie all’indispensabile ruolo svolto dai sei mediatori culturali interlingue che operano sia all’interno del carcere che all’esterno, attraverso l’attività degli sportelli collocati presso gli Istituti di Rebibbia e Civitavecchia e presso le sedi dell’Agenzia stessa.
Nel momento in cui si verificano discriminazioni legate “all’essere donna straniera”, sia dentro che fuori il carcere, SOS Razzismo attiva la sua rete territoriale per garantire pari diritti e pari opportunità.

Una detenuta ha scritto:

“Mi chiamo Maryanne Kombo, anche se tutte qui in carcere mi chiamano la nera, non so se vi ricordate di me… ci siamo conosciute più di otto mesi fa, quando siete venuti per spiegarci la legge sull’immigrazione.
Mi avevate detto che potevo scrivervi quando volevo e ora l’ho fatto.
L’ho fatto perché sto male, mi fa male lo stomaco e il dolore non mi fa dormire e quando non dormo penso alla mia bambina in Istituto.
Ho bisogno di cure, ho bisogno di vedere la mia bambina, ho bisogno di parlare la mia lingua.
Aiutatemi, so che voi potete farlo, so anche che voi potete capirmi.
Aspetto una risposta presto!”