Il mondo delle emigrazioni femminili – un tema tanto importante quanto sconosciuto – che la mostra BALIE ITALIANE e COLF STRANIERE presenta ha avuto e ha grande peso per lo sviluppo della nostra società.
Quali donne migrarono nel passato e quali donne emigrano oggi?
Quali sono i loro percorsi?
Da dove partono e dove si dirigono?
Quali ambienti si lasciano alle spalle, quali tradizioni e quali culture portano nella loro valigia?
E, una volta arrivate nelle nostre città e nelle nostre campagne, verso quali occupazioni si orientano?
Che tipo di nucleo familiare tendono a costituire?
Come si inseriscono nella società di arrivo?
E di loro cosa si dice?
Come le percepiscono i loro compagni d’esodo, maschi, e come esse stesse si vedono?
A questi e ad altri interrogativi ancora, la mostra BALIE ITALIANE e COLF STRANIERE ha voluto rispondere.
Nei 30 pannelli di questa mostra rivive il fenomeno migratorio, visto dalla parte delle donne, che ha avuto come teatro l’Italia: gli esodi delle italiane ieri, gli arrivi delle straniere del mondo oggi.
La mostra vorremmo poi aggiornarla mantenendo il titolo BALIE ITALIANE e BADANTI STRANIERE alla luce delle nuove problematiche politiche e sociali.
Questa mostra ci permette di cogliere nelle vicende delle donne migranti un fenomeno sociale a tutto tondo, in grado di dirci molto sia sul variegato orizzonte delle migrazioni globali sia sulle specifiche modalità attraverso le quali le società occidentali contemporanee, danno forma rappresentativa e simbolica, ma anche organizzazione materiale dell’ esistenza individuale e collettiva.
Balie italiane
Il mestiere di balia è stato tra i lavori che, nel corso della storia, hanno contribuito a garantire la sopravvivenza e la crescita delle nuove generazioni.
Le prime testimonianze di baliatico risalgono al mondo antico e le ritroviamo in tutto il Medioevo e durante l’Età moderna.
Il vero e proprio “boom” del baliatico si ebbe però nell’Ottocento, quando, con la Rivoluzione industriale, cambiò completamente il tessuto economico e sociale degli Stati, determinando un’enorme crescita della domanda e dell’offerta di quello che, in un’epoca in cui il latte artificiale ancora non esisteva, era considerato un vero e proprio “oro bianco”: il latte materno.
Nell’Ottocento le balie, come nelle epoche passate, provenivano quasi esclusivamente dall’ambiente rurale. Spesso si trattava di donne di estrazione contadina spinte a diventare balie per contribuire al sostentamento economico delle proprie famiglie, in decenni in cui i contratti agricoli divenivano via via sempre più svantaggiosi e la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici dei campi si aggravava sempre di più. L’attività di balia, sebbene limitata nel tempo, era in effetti molto remunerativa per l’epoca, soprattutto se confrontata con il salario di una contadina o di una domestica, e per questo era spesso individuata dai ceti rurali subalterni come possibile aiuto per superare le difficoltà economiche in cui vivevano.
Le balie erano in molti casi puerpere il cui bambino o bambina era morta nei primi giorni o mesi di vita, ma in altri casi erano donne che, spinte dal bisogno economico, rinunciavano ad allattare la propria creatura per poter essere balie a pagamento.
Divenute balie, la vita delle donne poteva subire grandi cambiamenti, soprattutto quando dovevano risiedere nelle case dei bimbi o delle bimbe da allattare. In questi casi si trattava quasi sempre di famiglie agiate, le quali preferivano tenere i figli e le figlie vicino a sé, da un lato per poter continuare a vederle, dall’altro per poter controllare l’operato e lo stato di salute delle balie.
Per molte donne essere balie presso le case delle famiglie agiate, sebbene lontane dai propri affetti, poteva essere l’occasione per uscire dal luogo natio, sottrarsi al faticoso lavoro nei campi e avere accesso a un’alimentazione e a condizioni abitative migliori.
Diversa era invece la situazione delle balie al servizio delle famiglie cittadine medio-basse. In questo caso molto spesso allattavano figli e figlie di donne lavoratrici – lavoranti a domicilio per la proto-industria o operaie nelle fabbriche sempre più numerose con l’avanzare della Rivoluzione industriale – che, inserite in un sistema lavorativo privo di tutela e diritti per le madri lavoratrici, non potevano permettersi di sospendere il lavoro durante i mesi dell’allattamento, poiché il loro salario, benché basso, risultava fondamentale per il mantenimento delle famiglie.
Le balie potevano stipulare un contratto di baliatico o direttamente con le famiglie cittadine in grado di corrispondere il compenso in denaro oppure, in molti casi, potevano stipulare un accordo con il brefotrofio della città a favore di quelle famiglie che avevano fatto richiesta del baliatico gratuito o che avevano esposto il proprio figlio o figlia alla ruota.
In questi casi, sia quello del rapporto diretto con la famiglia cittadina, sia del rapporto intermediato dal brefotrofio, le balie continuavano a vivere presso la propria dimora nelle campagne. Ciò permetteva alle donne di rimanere vicine ai propri affetti ma nello stesso tempo determinava un aggravamento dei loro compiti, perché all’attività di nutrice si affiancavano la cura della propria famiglia e il lavoro nei campi. Questo comportava evidentemente per le donne contadine e balie un sovraccarico di fatica in un periodo delicato qual era quello subito dopo il parto.
Un ultimo caso è quello delle balie migranti. Nel corso della storia si sono infatti verificate alcune esperienze di donne che emigrarono per essere balie in terre lontane e straniere. Un caso su tutti è quello delle numerose italiane, prevalentemente meridionali, che a cavallo tra Otto e Novecento emigrarono, abbandonando non solo la casa e i propri affetti, ma anche il proprio Paese, per andare a fare le balie presso le famiglie inglesi trasferitesi in Egitto durante i lavori per la costruzione del canale di Suez.
Il mestiere della balia coinvolgeva completamente la vita delle donne, comportava spesso la necessità di spostarsi, di lasciare la propria famiglia, i propri figli, di cambiare casa o addirittura paese, ma poteva anche essere un’occasione unica, per le donne del mondo contadino, di venire in contatto con altre realtà. Non bisogna però dimenticare che per molte donne diventare balia significava soprattutto un aumento delle fatiche e del lavoro con conseguenze negative sulla loro salute psicofisica.
Quello della balia è stato un mestiere fondamentale per tutto il corso della storia e ha contribuito allo sviluppo economico e al susseguirsi delle generazioni, ed è per questo che quelle donne oggi meritano il nostro riconoscimento storiografico.
Colf Straniere
Per molteplici ragioni, tracciare i contorni delle migrazioni femminili in Italia e le dinamiche che le attraversano richiede di assumere piste di lettura sempre più articolate. Nel tempo si sono fatte più frequenti strategie migratorie “autonome”, svincolate dal ricongiungimento familiare, che vedono protagoniste donne non al seguito di un partner. Le donne straniere in Italia continuano a fare i conti con radicate disuguaglianze nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro, subendo spesso una “doppia discriminazione”, in una dinamica strettamente interconnessa alla sfera della maternità e alla gestione della vita familiare.
Dall’inizio della crisi, la penalizzazione delle donne immigrate in termini di qualità del lavoro si è peraltro aggravata, rendendo ancora più evidente la loro segregazione nei livelli meno ambiti della struttura occupazionale e non risparmiando neppure coloro che detengono titoli di studio medio- alti.
A fine 2017 i lavoratori domestici regolarmente assunti dalle famiglie italiane sono circa 865 mila, con una lieve prevalenza di colf (54,4%) rispetto alle badanti (45,6%). Negli ultimi anni, tuttavia, le colf registrano un lieve calo mentre le badanti continuano ad aumentare. Le badanti si concentrano nelle regioni del Centro-Nord, mentre le colf sono in prevalenza in Lombardia e Lazio.
Pur essendo in grado di affermare che il numero complessivo dei lavoratori domestici in Italia è di circa 2 milioni (con una componente irregolare vicina al 60%), in questa analisi sono trattati solo i lavoratori regolari. Le donne sono in netta maggioranza (88,3%) rispetto agli uomini. L’età media del lavoratore domestico è 48 anni e nella maggioranza dei casi è assunto da meno di un anno. Nazionalità lavoratori domestici: Per quanto riguarda la nazionalità, gli stranieri rappresentano il 73,1% del totale, anche se negli ultimi anni sono aumentati gli italiani. La componente più significativa è quella dell’Est Europa (43,8% del totale). Nelle regioni del Sud probabilmente per le minori possibilità di lavoro, la componente italiana è maggiore e questo si riflette anche su un’età anagrafica del lavoratore che risulta leggermente più bassa.
Precarietà – così possiamo sintetizzare l’impegno delle attuali colf o badanti che siano, che implica meno reddito a disposizione e maggiori vincoli rispetto alle scelte di fecondità, vulnerabilità, esposizione a forme di discriminazione e a rischi per la salute si confermano termini ricorrenti nei percorsi di vita di molte immigrate. Come pure la questione della loro esposizione al rischio di violenza, quanto mai pressante in tempi in cui, tra l’altro, migrazioni forzate e presenza di richiedenti asilo e rifugiate, sono aumentate.