In una bella intervista, il giornalista mediatore culturale ed amico Ejaz Ahmad ha spiegato:
“La famiglia di Saman Abbas proviene da un villaggio nel sud del Punjab, dove c’è una cultura rurale basata sull’onore. Il matrimonio con il primo cugino è il fulcro di quella società, derivante dal sistema-caste in Pakistan, necessario affinché le terre restino alla famiglia. Lo stesso primo ministro ha sposato una donna della sua tribù. Le seconde generazioni sono arrabbiate e vogliono una soluzione. Serve una riforma, un islam italiano, perché quello dei Paesi d’origine non funziona qui.
I testi coranici vanno tradotti in italiano. Ma serve maggior collaborazione delle ambasciate per trovare un’intesa. Dobbiamo creare nuovi leader, imam moderni. Non ci possiamo aspettare una rivoluzione dai vecchi capi delle scuole religiose.
Moschee e mediatori possono avere un grande ruolo nell’integrazione, solo così avrebbe senso il dibattito sullo ius soli”
L’effetto “Saman” continua. L’uccisione della ragazza pakistana per aver rifiutato un matrimonio combinato ha suscitato commenti, approfondimenti e giudizi.
Ogni esternazione va considerata con estremo rispetto. Per di più quando si tratta del tema della famiglia. Finché parliamo di violenza sulle donne non ci sono né se né ma.
Ma quando affrontiamo la questione del modello di famiglia, il tutto si ingarbuglia.
Noi occidentali pensiamo proprio di avere un modello di famiglia?
Pensiamo proprio di no. A noi resta approfondire, essere rispettosi di storie e culture ed essere rigorosi sul valore del rispetto delle donne.